La fame è e rimane uno scandalo

La fame è e rimane uno scandalo

La fame è e rimane uno scandalo, oggi ancora più grande che nel passato perché abbiamo raggiunto un progresso senza precedenti nei vari campi della scienza e, nonostante questo, 13,5 milioni di bambine/i con meno di 5 anni sono in pericolo di vita a causa della malnutrizione acuta e grave. La fame è uno scandalo specialmente in questo periodo storico perché mentre per un verso si parla di globalizzazione e di scambi, per altro verso crescono l’individualismo e l’indifferenza, sia a livello personale che di Istituzioni e Stati, verso chi muore per fame o per denutrizione. Fame e denutrizione, spiega papa Francesco, «non possono mai essere considerati un fatto normale al quale abituarsi, quasi si trattasse di parte del sistema. Qualcosa deve cambiare in noi stessi, nella nostra mentalità, nelle nostre società. Che cosa possiamo fare? Penso che un passo importante sia abbattere con decisione le barriere dell’individualismo, della chiusura in sé stessi, della schiavitù del profitto a tutti i costi e questo non solo nelle dinamiche delle relazioni umane, ma anche nelle dinamiche economico- finanziarie globali». Dobbiamo, continua il Papa, «educarci alla solidarietà, riscoprire il valore e il significato di questa parola così scomoda e messa molto spesso in disparte e fare che diventi atteggiamento di fondo nelle scelte a livello politico, economico e finanziario, nei rapporti tra le persone, tra i popoli e tra le nazioni».

La solidarietà non può fermarsi all’elemosina, ma deve offrire alle persone la possibilità di guadagnarsi il pane col frutto del proprio lavoro, dare a tutti, specialmente ai giovani, la possibilità di accedere all’istruzione. Non solo perché dopo il pane l’istruzione è il primo bisogno, ma anche perché l’istruzione prepara (dovrebbe preparare) al lavoro.

L’impegno sul fronte della guerra alla fame vale specialmente per i credenti. Giustamente il Mahatma

Gandi osserva che «nel mondo ci sono persone così affamate, che Dio non può apparire loro se non nella forma del pane». Non è certamente un caso se al centro della rivelazione cristiana troviamo la persona di Gesù, Verbo del Padre fatto carne e fatto pane, come frequentemente ricorda sant’Annibale. Il Vangelo ci ricorda che al centro del giudizio finale ci sarà il pane dato o negato al Figlio, Verbo incarnato: «Avevo fame e mi avete dato da mangiare … non mi avete dato da mangiare». Un messaggio molto concreto, abbastanza semplice, immediatamente comprensibile e, per certi versi, anche scandaloso. Tutti, indistintamente, credenti e non credenti, saremo giudicati dal Re che si è fatto carne/pane; il “pane donato” sarà l’unico metro del giudizio. Il dono del pane è intimamente collegato con l’annuncio del vangelo. Si pensi a Gesù che moltiplica i pani; non li crea dalle pietre, come vorrebbe l’anticristo, ma moltiplica il pane che l’uomo gli pone liberamente tra le mani dopo aver lavorato la terra e trasformato il grano in farina e la farina in pane grazie all’acqua e al fuoco.

Dio non vuole sostituirsi all’uomo e l’uomo non può fare tutto, anche se stenta a riconoscerlo. Se manca la collaborazione tra Dio-uomo-creazione si ha un pane scadente, insufficiente a nutrire tutto l’uomo; senza questa collaborazione si avrà un pane inquinato ed inquinante: un pane avvelenato il cui effetto è la morte dell’uomo e della creazione.

L’Eucaristia, Pane del cielo, centro della vita cristiana e sintesi del vangelo, è dono di Dio che si concretizza grazie alla collaborazione dell’uomo che col lavoro trasforma la creazione. Se manca il pane non c’è Eucaristia; senza lavoro non c’è il pane per l’Eucaristia. È opportuno ricordare che ogni Domenica il Padre ci chiama a condividere il Pane vivo disceso dal cielo e ci chiede di spezzare nella carità di Cristo il pane terreno, perché sia saziata ogni fame del corpo e dello spirito (Colletta, XVII Domenica p.a. B). Che cosa possiamo fare? Si fa ciò che è possibile: se non puoi nutrire un centinaio di persone, allora nutrine solo una, almeno la Domenica!