5. L’istituzione della festa del 1° luglio
L’avvenimento del 1° luglio 1886, nel pensiero del fondatore doveva costituire un elemento portante della spiritualità e dell’Opera rogazionista. Per questo il suo estro poetico e la sua originalità lo condussero naturalmente all’istituzione di una vera e propria festa, la più importante, perché doveva essere ritenuta fonte della vita stessa dell’Opera spuntata bambina proprio nell’Eucaristia ed avviata nel processo della sua lenta maturazione. La ragione fondamentale costitutiva della festa è tratteggiata in maniera inequivocabile dallo stesso padre Annibale: “E’ proprio dell’umana fragilità indebolirsi del primitivo fervore, se potenti motivi non vengono a ripristinarlo. Per questo la santa Chiesa con celeste sapienza dispone nell’anno ecclesiastico gli anniversari dei grandi misteri della nostra santa religione. In forza di questo principio fu stabilito che un avvenimento così felice, e che tanto buona impressione aveva lasciato nell’animo dei ricoverati, fosse annualmente ricordato. Da ciò ne venne una commemorazione annua, così combinata, che si rende molto efficace ed eccitamento di fede e pietà verso Gesù Sacramentato e la SS.ma Vergine Maria”. La festa doveva quindi diventare il memoriale della dimora eucaristica di Gesù nell’Opera, il tributo annuo di amore e di fede, il debito di gratitudine per l’amorosa e dolcissima dimora stabile di Gesù ed il culmine di tutto un intero anno eucaristico che decorreva dal 1° luglio al 30 giugno successivo. Si sviluppò così un vero e proprio cerimoniale, una sorta di Proprio liturgico con una dinamica che comprendeva una accurata e scrupolosa preparazione e la celebrazione.
5.1. La dinamica della preparazione
a) Il titolo annuale
Gesù che tornava a nascere nel mistero dell’Eucaristia ed a ricordare la sua amorosa presenza tra i poveri del quartiere Avignone, doveva essere salutato ed acclamato con un titolo, nuovo per ogni anno, frutto di un attento discernimento e della lettura della situazione storica contingente dell’Opera. Il lavorio, come confessa lo stesso fondatore, a volte durava anche un intero anno. A partire dal primo anniversario, il 1887, P.Annibale cominciò a dare i titoli a Gesù ed alla Madonna. Il primo maggio di ogni anno, durante la celebrazione eucaristica, dopo la comunione, veniva dato il primo annunzio. Si rompeva così l’impenetrabile segreto che durava da circa un anno. Il nuovo titolo entrava in vigore il 1° luglio. Nel corso degli anni, a seconda delle circostanze e degli avvenimenti storici, ci furono titoli anche per s. Giuseppe, s. Antonio di Padova, s. Michele Arcangelo, protettori dell’Opera. P.Annibale assegnò i titoli per 40 anni consecutivamente, fino alla sua morte, il 1927. Quando gli istituti maschili e femminili cominciarono a moltiplicarsi, l’annunzio del titolo giungeva con lettere in stampa, chiuse in doppia busta, sigillate, raccomandate, entro la prima quindicina di maggio. Tutto era circondato da un sorta di inviolabile segreto: la circolare in stampa al posto del titolo riportava un tratteggio che era poi sistematicamente riempito a mano dal Padre stesso. La seconda busta era aperta davanti a tutti sull’altare; ciò per determinare una santa aspettazione e grande curiosità di conoscere il titolo eucaristico. Seguiva la naturale manifestazione di allegria anche con particolari segni esteriori.
b) Gli inni del 1° Luglio
Ad ogni nuovo titolo a Gesù sacramentato, corrispondeva un inno che era musicato per essere cantato. Si tratta di poesia sacra, senza alcuna preoccupazione letteraria, alla portata dei piccoli e dei poveri, con significative ed eloquenti venature di elevazioni mistiche, bibliche ed artistiche. Nell’inno, attraverso l’utilizzazione di immagini ad effetto ed una grande quantità di citazioni bibliche, il Padre narrava le condizioni storiche contingenti e le difficoltà dell’Opera. Annualmente egli scriveva due o tre inni, secondo i titoli, che venivano declamati e cantati, e costituivano, come afferma lo storico Tusino, «il pezzo forte» della manifestazione. P.Annibale compose in tutto 99 inni: 40 a Gesù, 40 alla Vergine Maria, 16 a s. Giuseppe, 2 a s. Antonio, 1 a s. Michele Arcangelo. Gli inni si compongono di tre parti, delle quali la seconda ha carattere generale, nel senso che sviluppa e canta le glorie del nuovo titolo, mentre la prima e la terza riflettono la natura e le circostanze storiche contingenti dell’Opera. Essa, se pure nata in mezzo agli stenti, è ricca d’immensa fiducia in Dio, perchè nobilitata come da un blasone, dalla parola di Gesù: Rogate ergo Dominum messis, ut mittat Operarios in messem suam che costituisce la sua stessa essenza. La parola ed il divino comando del Rogate vengono richiamati e ripetuti in mille modi. Gl’inni si aprono con la manifestazione di gioia per il felice ritorno del Signore. Segue l’invocazione a Lui, espressione dell’ardente sospiro dell’Opera, che Lo implora con gemiti di amarezza per il suo temporaneo allontanamento. Nell’ultima parte vi è in genere il richiamo al mistero eucaristico che implica il mistero del sacerdozio: esso genera l’Eucaristia, la custodisce e la distribuisce alle anime. I fanciulli, i poveri i religiosi e le religiose, provano grande gloria a vivere attorno al tabernacolo, e gioiscono per il nuovo titolo.
c) I sermoncini
Per rendere i ragazzi protagonisti della festa ed interessarli maggiormente nella gioia comune per la venuta di Gesù Eucaristia, P.Annibale scriveva discorsetti ad onore di Gesù e della Vergine ss.ma che poi faceva recitare agli stessi ragazzi vestiti da chierici. I sermoncini, seguono i criteri dell’arte oratoria del tempo, esprimono l’immensa felicità per il ritorno di Gesù nel sacramento dell’altare ed illustrano il nuovo titolo. I sermoncini costituiscono una fonte preziosa di teologia eucaristica rogazionista alla portata di tutti. La stessa cosa facevano anche le ragazze recitando discorsetti e, talora, mettendo in scena rappresentazioni scritte dal Padre, come “La sposa dei Cantici” e “Le Figlie di Gerusalemme”.
d) Le iscrizioni
Perché l’ambiente domestico, prima del quartiere e poi dei vari istituti, risultasse festante ed accogliente, e perché il pensiero di tutti fosse costantemente richiamato a quello che il Padre considerava un avvenimento straordinario, il fondatore dettava alcune iscrizioni che, scritte a carattere cubitale, erano collocate in vari punti del quartiere e della casa. Queste epigrafi gradualmente passarono dall’esterno all’interno dell’oratorio . Negli anni quaranta i testi delle iscrizioni furono raccolti nel volume Gli Inni del Primo Luglio, riportate anno per anno dopo gli inni. La prima iscrizione del 1886 è andata perduta, con grande dispiacere dello stesso P.Annibale. e) L’aspettazione di Gesù sacramentato e la funzione del tabernacolo vuoto Si tratta di un’intelligente trovata, una industria spirituale per far provare, almeno per un breve spazio di tempo, ad imitazione del venerdì santo, cosa volesse dire non avere Gesù presente nel tabernacolo e soffrire l’amarezza della sua assenza. Il Padre chiama l’iniziativa la grande scomparsa. Ad essa faceva seguire la grande attesa. Questa sorta di eclissi divina avveniva gli ultimi giorni del mese di giugno di ogni anno, ed era comunicata da una circolare. Motivo della momentanea assenza di Gesù era anche quello di permettere all’oratorio di essere ripulito e rifatto quasi nuovo, di riassettare il pavimento, decorare l’altare, dare una rinfrescata alle pareti e preparare i drappeggi. Nei primi tempi vi fu la sostituzione del tabernacolo con uno più bello, intarsiato di legni policromi . Nelle cronache dei primi tempi si parla di dolorosa assenza, manifestata anche dal segno della lampada eucaristica che veniva appositamente spenta, preceduta dalla veglia di commiato nella notte precedente la grande scomparsa di Gesù. Il tabernacolo vuoto dava il senso di una solitudine ineffabile. Una apposita e toccante omelia faceva seguito alla suggestiva funzioncina. C’era poi il canto di Cieli dei cieli, memoriale degli anni dell’aspettazione, che riportava direttamente al 1° luglio 1886. La santa aspettazione dei giorni di santa tristezza, era accompagnata dal silenzio stretto, lavoro più taciturno, poca e moderata ricreazione, frequenti visitine in chiesa, preghiere simili a ricerche che i figli fanno del loro Padre amatissimo, che fa il piccolo gregge del suo buon pastore , canto dinanzi al tabernacolo aperto ma vuoto, confessioni, veglia di adorazione. A queste industrie spirituali il Padre aggiunse anche talora, un corso di esercizi spirituali con la presenza anche di confessori straordinari.
5.2. La dinamica della celebrazione
a) La giornata del 1° Luglio
Nell’ordinarietà della celebrazione del 1° luglio, dopo la consacrazione eucaristica si cantava il nuovo inno e si riaccendeva la lampada del santissimo ad indicarne la presenza. Vi era un’apposita esortazione cui seguiva la comunione generale. Finita la messa si esponeva solennemente il sacramento per l’adorazione per l’arco dell’intera giornata. Dalle cronache riportate nel Bollettino rogazionista si apprende che a Messina, fino al 1908, non mancò la messa in rito greco. Era il rettore della Cattolica di Messina che la celebrava tra l’entusiasmo e la meraviglia dei ragazzi e dei religiosi . L’adorazione che durava l’intera giornata, non era distratta né interrotta dal pranzo che viene sostituito con la colazione. Tutto terminava con la solenne benedizione eucaristica.
b. Il 2 e 3 luglio
Il 2 luglio, per la proclamazione del nuovo titolo della Vergine, c’era sempre un discorso ufficiale ed il canto del nuovo inno. il Si aggiungeva ogni anno una apposita giaculatoria che richiamava il nuovo titolo. Dal 2 luglio fino al giorno della grande scomparsa cominciava in tutte le case il ringraziamento per la venuta di Gesù sacramentato con una preghiera che voleva associare alla gratitudine a Dio Padre, tutti gli Angeli, i santi, la Vergine e lo stesso Gesù. Seguiva una giaculatoria che richiamava il titolo dell’anno, e la comune giaculatoria così modificata: Sia lodato e ringraziato ogni momento il Santissimo e Divinissimo Sacramento, che si è degnato di venire ad abitare in mezzo a noi; giaculatoria che rimase in uso nelle nostre comunità fino al Capitolo Generale del 1968-1969. Nella giornata del 3 luglio si seguiva identica prassi per onorare i patroni dell’Opera, s. Giuseppe, s. Antonio di Padova, s. Michele arcangelo.
c. La domenica conclusiva
La domenica successiva a conclusione delle festività del 1° luglio alle tre pomeridiane c’era un’agape festiva con la partecipazione gioiosa di tutti al pranzo all’aperto, nella stradetta interna sotto grandi tendoni, attorno ad una lunga tavola approntata per l’occasione. Era l’unica volta che la comunità religiosa si fondeva con quella degli orfanelli. A questa mensa il 1898 partecipò Melania Calvat, la veggente de La Salette che era presente a Messina per la riorganizzazione della comunità femminile. Ogni anno a capo tavola vi era Francesco Zancone, il povero che aveva condotto il Padre ad Avignone. Con innocente ilarità e tanta schiettezza si brindava a Gesù sacramentato ed al nuovo titolo col quale era stato salutato, alla SS. Vergine, ai sacerdoti, ai chierici, e questi spesso ricambiavano i brindisi. Terminato il pranzo, verso le cinque, si procedeva ad una apposita accademia. Sotto l’eucaliptus nel quartiere era sistemato un palco e posti alcuni panneggi con immagini del Cuore di Gesù, del papa, dell’arcivescovo, dei sovrani e l’iscrizione annuale. Il primo a parlare era sempre P. Annibale che spiegava lo scopo della commemorazione. Salivano poi sul palco i declamatori per il discorsetto d’occasione. Si cantavano infine poche strofe dell’inno il cui testo era consegnato a ciascuno perché tutti potessero cantarlo. I discorsetti erano fatti inizialmente dai chierici; in un secondo tempo dagli artigianelli e apostolini nel settore maschile, dalle orfanelle e probande nelle case femminili. Più tardi si aggiunse una breve e bella rappresentazione in versi: La sposa dei sacri cantici e Le Figlie di Gerusalemme da non confondere con l’epitalamio dei celesti amori del sacramentato Iddio coi suoi eletti composto dal Padre per il 25° della festa del 1° luglio, il 1911. La sacra rappresentazione, scritta sulla base di efficaci reminiscenze bibliche del Cantico dei Cantici, esprimeva la sofferenza dell’Opera, la sposa, nell’amorosa ricerca di Gesù, suo diletto sposo. A volte gli oratori erano sacerdoti di Messina appositamente invitati, il canonico teologo Polito, il 1906, il canonico Bruno, il prof. sacerdote Fisichella e l’abate Ernest Rhomer, francese dell’Alsazia, missionario apostolico nei luoghi santi, ospite presso il Di Francia a Messina. Due volte, compresa la domenica, intervenivano anche i chierici del seminario arcivescovile, e due di loro, appositamente invitati, recitavano dal pergamo due discorsi di congratulazione agli organizzatori della festa, e di lode al SS. Sacramento col suo nuovo titolo, e alla SS. Vergine. Nel corso del tempo sopraggiunsero poi anche modesti tentativi di trasposizione letteraria dell’avvenimento sotto forma di dramma, opera di alcuni rogazionisti. La tradizione ne ha tramandati alcuni: Il divino rogazionista, bozzetto del fratello D.G., il Divino consolatore, dramma in tre atti di Serafino Santoro, il Divino Provveditore, un atto del F.P.S., come anche versi siciliani in lingua di Nino Micalizzi, uno dei beneficiati della prima ora. Finalmente il tutto si concludeva in cappella col canto del Te Deum e la solenne benedizione del SS.mo preceduta da un’apposita riflessione. Seguiva la ricreazione serotina nei cortili, resa più allegra e viva da diversi giochi, dall’accensione dei lampioncini, dal lancio dei palloncini e finanche da piccoli fuochi d’artificio. La conclusione non si faceva nella stessa domenica in tutte le case, ma secondo le circostanze. A volte erano concomitanti alla festa alcuni altri riti come, il 1910 a Messina, la benedizione della chiesa baracca fatta da P.Vitale con don Orione e don Albera e il 1913, ad Oria, la proclamazione del cuore eucaristico di Gesù a superiore immediato ed effettivo dell’Opera fatta da P. Annibale. La stampa cittadina messinese, e il notiziario religioso La Scintilla, spesso si interessavano di questi avvenimenti e pubblicavano ampi squarci di cronaca . Artefice di tutto questo era sempre il Padre che provvedeva a girare tutte le case a partire proprio dal mese di luglio. Diversi testimoni confermano che la gioia per il ritorno di Gesù in tutta l’Opera era addirittura delirante.